Psicoterapia centrata sul cliente

La psicoterapia centrata sul cliente, fondata negli anni '40 del '900 dallo psicologo americano C. R. Rogers (1902-1987), si colloca nell'ambito della psicologia umanistica, movimento quanto mai composito per idee e figure rappresentative. Questa «terza forza» fra psicoanalisi e comportamentismo si discostava radicalmente da ambedue per la visione stessa dell'essere umano, colto nella sua natura di soggetto, agente di scelte libero e responsabile. Da qui una posizione fortemente contraria a ogni tipo di riduzionismo, determinismo e meccanicismo, e invece fiduciosa nelle risorse e nelle potenzialità di sviluppo della persona. Storicamente, le origini sono da ricercare nella cultura americana degli anni attorno al 1930, in cui alle tradizioni culturali autoctone, legate al movimento filosofico del pragmatismo, si mescolano idee e tematiche europee porta-te dalla diaspora ebraica e antinazista. In quest'ottica, Rogers risulta un intellettuale profondamente «americano» che per curiosità e sensibilità nel corso della vita va progressivamente assorbendo e filtrando quanto di meglio proviene dalla cultura europea. Nato a Oak Park, un sobborgo di Chicago, Rogers apparteneva a una famiglia numerosa, molto unita, religiosa di stretta osser-vanza fondamentalista. Entrambi i genitori discendevano dai primi coloni che avevano attraversato l'Atlantico nel XVII secolo. Il percorso di studi del giovane Carl fu il riflesso dei suoi numerosi interessi: da quelli scientifici, applicati alia botanica e all'agraria, alla teologia, alla storia e infine alla pedagogia e ala psicologia. Fondamentale fu il suo incontro con W. Kilpatrick, uno dei primi allievi del filosofo pragmatista J. Dewey. In questi anni di formazione ritroviamo quelle che saranno le basi del pensiero di Rogers. Da un lato la rigida ideologia familiare ricalca i fondamenti della Costituzione degli Stati Uniti: il principio calvinista della responsabilita personale non mediata, la fiducia nella possibilità concessa a ognuno di realizzare se stesso nell'esistenza, la visione dei rapporti sociali come basati sulle singole individualità e su un piano di totale uguaglianza dalla quale deriva il rispetto profondo per l'altro, il cui punto di vista e importante quanto il nostro e decisivo se si tratta di scelte che lo riguardano. D'altra parte, la religiosità fondamentalista comporta aspetti profondamente conservatori, da cui Rogers prese quasi subito le distanze orientandosi, sotto la guida di Kilpatrick, verso un impegno intellettuale e politico assai più progressista. Fra i principali assunti del pragmatismo che si ritrovano nel pensiero di Rogers ricordiamo l'importanza attribuita all'individuo, concepito come essere globale, unico e irripetibile; il concetto di «esperienza» come dato primario e immediate, come vissuto dell'unita interattiva tra l'individuo e l'ambiente; la funzione cen-trale della consapevolezza in quanto modalità non esclusivamente intellettuale ma radicata nell'esperienza; la convinzione, in base al carattere dinamico e interattivo della vita psichica, che il comportamento non e determinato in modo «meccanico» né biologicamente, né socialmente; la fede nella democrazia come caposaldo relazionale, sociale e politico; la fiducia nel metodo scientifico, che Rogers applicò sistematicamente alla pratica psicoterapeutica, pubblicando per primo un intero ciclo di sedute registra-te al magnetofono (Rogers, 1942); la tensione etica che deve permeare tutti gli ambiti dell’attivita umana compreso quello scientifico; infine l'aspirazione all'armonizzazione con l'universo, inteso come totalità di rapporti possibili con la natura e con gli altri esseri viventi.

Concluso il percorso universitario, nel 1928 Rogers inizia la carriera professionale presso il Child Study Departement di Rochester, dove lavora per dodici anni. Risalgono a questo periodo i contatti con O. Rank, l'ex allievo di S. Freud che, trasferitosi a Filadelfia, aveva perfezionato un indirizzo terapeutico ormai lontano dalla psicoanalisi. Partendo da successi e fallimenti clinici, Rogers matura convinzioni assai diverse da quelle all'epoca generalmente accettate e condivise. Nel 1940, durante un congresso all'Università del Minnesota, prefigura un nuovo tipo di terapia che mette in rilievo più gli aspetti emozionali di quelli razionali, più la situazione attuale di quella passata e infine considera la relazione terapeutica stessa come esperienza di crescita. Secondo Rogers, tale prospettiva trova le radici, oltre che nel lavoro di Rank, in quello di un'analista neofreudiana quale K. Horney, nella play therapy e nella terapia di gruppo. Queste idee sono riportate nel suo primo importante lavoro (1942), in cui il nuovo approccio viene definito «non direttivo»: l'obiettivo non e quello di risolvere un particolare problema, ma di aiutare l'individuo a crescere, cosicché egli possa far fronte ai problemi attuali e futuri in modo più integrato. Il terapeuta non e dunque l'esperto che in qualche modo definisce il significato e la natura dei sintomi e dei problemi, ma il facilitatore di un processo la cui padronanza e direzione non devono mai sfuggire all'interessato. Per sottolineare tale aspetto, e anche evitare una definizione «in negativo», con l'omonimo libro del 1951 fu adottata la denominazione «terapia centrata sul cliente»: quest'ultimo termine, che nella accezione anglosassone non comporta significati di tipo commerciale ma di rapporto professionale, sta a indicare la parità esistenziale di fondo fra i due protagonisti della relazione. Terapia centrata sul cliente segna un punto di svolta nell’opera di Rogers, che acquisisce da questo momento una prospettiva l'enomenologica, comparsa nella psicologia americana attraverso 1'opera di D. Snygg r A. Combs (1949). Non è chiaro se vi fosse un'ispirazione europea più o meno diretti oppure se si trattasse di un'elaborazione originale (Snygg espose le sue tesi fenome-nologiche nel 1935, mentre la fenomenologia europea fu introdotta nel nuovo continente da R. May negli anni '40-'50). Il fatto è che l'approccio fenomenologico americano poteva condensarsi nell'assunto secondo cui la realtà come noi la viviamo non coincide con 1'evento, di per sé inattingibile, ma con la percezione che ne abbiamo, ed è precisamente da quest'ultima che deriva il

comportamento.

Nel frattempo Rogers ha iniziato una brillante carriera accademica che lo porterà all’Università dell'Ohio, poi a quella di Chicago dove fonda un famoso Counseling Center e dove raccoglie un gruppo di allievi e collaboratori che costruiranno il primo nucleo del suo movimento. Nel 1957, mentre si trasferisce all'Università del Wisconsin, esce un articolo fondamentale in cui vengono identificati e discussi i fattori fondamentali dell'efficacia del terapeuta: accettazione incondizionata, empatia e congruenza. L'ipotesi di Rogers è che essi abbiano validità generale per qualunque tipo di terapia e per qualunque tipo di cliente, purché in grado di avvertirli: da questa sfida nasce la cosiddetta «ricerca del Wisconsin» con gli schizofrenici istituzionalizzati del Mendota State Hospital. I rapporti fra Rogers e la psichiatria non erano mai stati buoni: la ferma opposizione a metodi di cura alienanti, il suo rudicalismo nella gestione del Conseling Center, la popolarità fra gli studenti, i rigorosi metodi di ricerca - che mettevano in pericolo il carisma del terapeuta all'interno della relazione stessa - ne facevano un «rivoluzionario» pericoloso anche se «silenzioso». La ricerca del Wisconsin fu 1'occasione di convalidare questi punti di vista anche in un ambito, quello della schizofrenia, così lontano dalla sua esperienza.

Nel 1964, stremato dalla monumentale ricerca, Rogers si trasferì a La Jolla, in California, rinunciando all'insegnamento uni-

versitario. Com'e noto, gli anni '60 nella West Coast erano un crogiolo di novità e fermenti ed egli stesso vi contribuì, estendendo i principi della sua terapia a varie altre «relazioni di aiuto» (insegnamento, assistenza sanitaria e sociale, consulenza pastorale); fu così adottata una definizione più generale e comprensiva, quella di «approccio centrato sulla persona». Sempre in sintonia con lo spirito di quegli anni, Rogers in-tensifica il lavoro e la ricerca sui «gruppi di incontro». Si tratta di un'esperienza di comunicazione interpersonale senza fini spe-cificamente terapeutici ma intesa a facilitate lo sviluppo e la maturazione dei singoli e il miglioramento della comunicazione e delle relazioni; si sperimentano, in quel periodo, gruppi intensivi di lunga durata e grandi gruppi cui partecipano centinaia di persone, spesso finalizzati alia risoluzione dei conflitti (sociali, etnici, ecc). Negli ultimi anni Rogers, nonostante gravi problemi alla vista, viaggia molto dedicandosi all'orga-nizzazione di centri di addestramento professionale. In Italia nel 1979 fonda, assieme agli allievi e collaboratori Ch. Devonshire e A. Zucconi, l'Istituto dell'approccio centrato sulla persona, che costituisce tuttora Tunica scuola di psicoterapia rogersiana ufficialmente riconosciuta. Muore nel 1987, quando il suo approccio e già diffuso e va sviluppandosi in tutto il mondo e le sue idee, spesso senza un esplicito riconoscimento, sono progressivamente acquisite nell’ambito della psicoterapia e delle relazioni di aiuto. Attualmente l'insieme delle organizzazioni e dei singoli professionisti che si riconoscono nel suo insegnamento e organizzato nella World Association for Person-Centered and Experiential Psychotherapy and Counseling (Wapcepc), che pubblica la rivista «Person-Centered & Experiential Psychotherapies». La domanda centrale che Rogers si pone può essere riassunta nella seguente frase: «Come e perché avviene il cambiamento in psicoterapia? E in quale direzione si attua?» Coerentemente con la sua visione generale della natura urriana, egli postula l'esistenza di una «tendenza attualizzante», principio dinamico che induce e regola lo sviluppo delle potenzialità individuali dal punto di vista psicologico così come da quello biologico. Il risultato, continuamente evolventesi, di questo processo deriverà dall'interazione fra il singolo individuo e l'ambiente risultando in ogni caso il migliore possibile: anche il disfunzionamento costituirà comunque l'espressione del rapporto più favorevole, in termini di sviluppo delle potenzialità dell'individuo, reso possibile dalla capacità dell'ambiente di soddisfarne i bisogni. Rogers usa quest'ultimo termine nella tradizionale accezione di A. Maslow (1962), ma riunisce i vari livelli della piramide in un unico grande concetto, quello di «considerazione positiva incondizionata»: ogni essere umano ha l'assoluta necessità di sviluppare relazioni in cui venire riconosciuto sia nella sua interezza sia nelle specifiche istanze. In questo senso, egli riprende il celebre aforisma del filosofo ebreo M. Buber, con cui intrattenne un famoso dialogo radiofonico: «Non esiste un Io senza un Tu che lo conosca».

Lo sviluppo infantile è dunque connotato strutturalmente della soddisfazione di questo bisogno da parte dell'ambiente relazionale. Adottando una prospettiva socio-antropologica più vicina all'interazionismo simbolico di G. H. Mead che a quella classica di derivazione psicoanalitica, Rogers non si riferisce a figure specifiche come la madre e il padre, ma parla in generale di «persone criterio» o «significative». Questo in accordo con il principio della tendenza attualizzante per cui se i genitori sono inadeguati il bambino cercherà spontaneamente di soddisfare i propri bisogni altrove. Accettare incondizionatamente un bambino non significa subirne passivamente il comportamento, che va invece limitato e contenuto, bensì riconoscere e rispettare il suo unico, personale e immediato modo di essere e di sentire, cioè la sua «esperienza». Questo concetto, già menzionato in riferimento al pragmatismo, indica in Rogers tutto ciò che costituisce, a livello di emozioni e sensazioni, il primo e diretto presentarsi fenomenico, il vissuto soggettivo di base, che precede l'elaborazione simbolica, quest'ultima costituita da pensieri, linguaggio, consapevolezza e coscienza. La dialettica fra le singole esperienze, organizzate in un «campo esperienziale», e la relativa simbolizzazione, ad esempio la consapevolezza di un'emozione, costituisce un meccanismo centrale della personalità secondo Rogers. Anzitutto occorre sfatare la credenza, piuttosto comune ma falsa, che egli neghi l'inconscio. Viceversa, il termine viene rifiutato perché troppo legato a un paradigma teorico diverso, nonché discutibile in assoluto; tuttavia Rogers non nega affatto che determinate esperienze vengano escluse dalla percezione e dalla simbolizzazione, cioè restino al di fuori della coscienza. Nel corso dello sviluppo del bambino, infatti, può presentarsi una sorta di divaricazione fra bisogno di accettazione positiva incondizionata ed esperienza. Ciò accade quando le figure criterio valutano quest'ultima in maniera condizionata e negativa: «Sei cattivo se sei geloso del fratellino», ad esempio. Il bambino è quindi obbligato a una scelta: se vuole sentirsi accettato, amato e quant'altro deve considerarsi non geloso e proprio a questo lo induce il bisogno di considerazione positiva incondizionata. In tal modo svilupperà un concetto di sé, cioè un insieme di elementi di autoriconoscimento, parte della coscienza, avulsi e non veramente corrispondenti alle esperienze, cioè alle sue reali emozioni. Ora, il concetto che ognuno di noi possiede di se stesso costituisce la sua identità: a torto o a ragione noi ci riconosciamo in ciò che riteniamo di essere. Tale concetto deve essere relativamente omogeneo: non possiamo credere di essere qualcosa e contemporaneamente il contrario. Troppe incoerenze dissolverebbero l'identità cosciente, evento assai temibile perché, a quel punto, il soggetto, fondamento psicologico della libertà e della responsabilità, scompare. P. Lecky, a metà degli anni '40, fu il primo a introdurre nella psicologia americana l'idea che la personalità è un insieme coerente e organizzato di valori e significati e che questa forma tende ad essere mantenuta eliminando tutti gli elementi interni ed esterni che la minacciano. Si tratta di un'applicazione del principio olistico, che si apparenta necessariamente a quello dinamico e che troverà qualche anno dopo una formulazione più conosciuta nella legge della «dissonanza cognitiva» di L. Festinger. Una volta che il concetto di sé si è formato e stabilizzato è dunque essenziale che sia preservato dalla percezione di esperienze potenzialmente disorganizzanti perché incoerenti; a tal fine entrano in azione i meccanismi di difesa, peraltro ben diversi per obiettivi e natura da quelli psicoanalitici. Ogni elemento esperienziale in via di simbolizzazione viene vagliato e può essere intercettato prima di raggiungere la piena coscienza oppure la relativa simbolizzazione può essere distorta. Ciò causa una sorta di alienazione da se stessi, una mancanza di contatto con le proprie parti profonde che Rogers definisce «incongruenza» e che sta alla base di vari disturbi psicopatologici. Coerentemente con le premesse antideterministiche, la terapia centrata sul cliente mette in guardia dai rischi della diagnosi come soffocante schematizzazione dell'irriducibilità umana e guarda con sospetto qualsiasi legame univoco fra categorie diagnostiche e fattori causali, nonché con strategie terapeutiche. I tre grandi fattori curativi, per definizione «necessari e sufficienti» -accettazione positiva incondizionata, empatia e congruenza - costituiscono tutto quello su cui il terapeuta centrato sul cliente può contare. Sembra poco, a chi è assetato di interpretazioni, tecniche, obiettivi. La grande maggioranza dei terapeuti di altri indirizzi e una certa quota di quelli rogersiani pensa che le condizioni siano necessarie ma non sufficienti e debbano essere integrate in varie maniere. Ma guardiamo bene alle nostre tre risorse. L'accettazione positiva incondizionata è un fattore di per sé potentissimo perché soddisfa un bisogno infantile, probabilmente connesso a radici biologiche. Infatti, benché venga mantenuto il termine tradizionale di bisogno, è chiara l'analogia con gli attuali «sistemi motivazionali», ad esempio quello dell'attaccamento. L'empatia, nell'accezione rogersiana classi-

ca, non si riduce a un insieme di tecnici ir, come in certe derivazioni dell'approccio, ma è anzitutto una posizione esistenziale nei confronti dell'altro, un modo di incarnare il Tububeriano. Da questo punto di vista costituisce un profondo strumento conoscitivo che, in ambito fenomenologico, equivale all'interpretazione. Le cosiddette «tecniche del rimando empatico» o «risposte-riflesso», poi, costituiscono raffinate modalità di gestione del dialogo terapeutico laddove l'esperienza profonda del cliente è inarticolata a livello simbolico. Sulla scia di H. Kohut (1977), l'empatia viene di solito considerata una sorta di comprensione intellettuale, oppure una solidarietà aspecifica di dubbia efficacia. Queste posizioni in realtà non colgono veramente l'empatia nell'accezione di Rogers. Il terapeuta centrato sul cliente è interessato all'individuo che ha davanti e a conoscerlo in quanto essere umano; lo è di meno, pur senza svalutare tali aspetti, a capire i meccanismi in base ai quali funziona o a farne un caso per affascinanti disquisizioni esistenziali. Infine, la congruenza, cioè la capacità del terapeuta di conoscere se stesso, è l'indispensabile premessa per conoscere il cliente e per costituire «l'altro» nella relazione. Dopo questa lunga disamina torniamo alla nostra questione originaria: in cosa consiste il cambiamento in terapia. Con riferimento a quanto detto finora possiamo concludere che il rapporto terapeutico è l'elemento fondamentale di cura: esso provvede, contemporaneamente, alla soddisfazione di un bisogno, e quindi a un'esperienza correttiva, e all'incremento della consapevolezza di sé, che l'insoddisfazione di tale bisogno non permetteva. Il tutto nella cornice rigorosa dei limiti, cioè delle regole del setting. La dialettica fra questi fattori, che li rende interdipendenti, permette di superare la falsa alternativa fra terapia come conoscenza oppure come esperienza: ormai sappiamo che la constatazione puramente razionale, per quanto profonda, dei propri problemi non ha mai guarito nessuno. La vera elaborazione cosciente, che si attua spontaneamente perché sottesa dalla tendenza attualizzante, è qualcosa di inscindibile da un'esperienza relazionale. Come sopra accennato, in termini pragmatistici la coscienza è qualcosa di profondamente radicato nell'esperienza, perciò le due opzioni, lungi dall'essere in contrasto, risultano facce della stessa medaglia. Com'è ovvio, all'interno dell'approccio le diverse correnti sottolineano più o meno questo o quell'altro aspetto; ma poiché Ro-gers ha avuto il buon senso epistemico di fissare i limiti della sua teoria, cioè le condizioni di validità delle condizioni necessarie e sufficienti, almeno per ora il dibattito resta pacato, su una base di ricerca e sperimentazione, senza che nessuno rivendichi qualche particolare ortodossia. Viceversa, è comune a tutti coloro che si riconoscono nel movimento rogersiano una visione progressista, non limitata all'ambito della psicologia ma che si apre ai problemi del nostro tempo e al futuro del pianeta.

VALERIA VACCARI